Notizie dal mondo: la situazione delle lavoratrici domestiche in Libano

Istituto Sindacale per la COoperazione allo Sviluppo

Notizie dal mondo: la situazione delle lavoratrici domestiche in Libano

In Libano la maggior parte delle collaboratrici domestiche sono migranti, specialmente da paesi africani, che in questo lavoro vedono una possibilità di guadagno per sostenere le famiglie nei loro paesi di origine. Spesso queste donne si ritrovano, come molti altri lavoratori migranti, intrappolate in un sistema di assunzione, detto “kafala”, che secondo molti è riconducibile ad una moderna forma di schiavitù.

Kafala è un sistema di leggi e norme che attraverso una sponsorizzazione crea un’assoluta dipendenza verso il datore di lavoro. È infatti il datore che si fa garante nel processo di acquisizione del permesso di soggiorno, che è quindi legato al contratto di lavoro. Per questo le lavoratrici si trovano totalmente alla mercé dei loro datori di lavoro e spesso sono vittime di abusi. Si calcola che siano circa 250,000 i lavoratori migranti occupati attraverso questo sistema in Libano. Il sistema non permette ai lavoratori migranti di andarsene perché vincolati dal contratto e non possono lasciare il Libano senza il permesso del datore di lavoro. Si trovano perciò ad un bivio: accettare le condizioni di lavoro oppure provare a scappare, con il rischio, se presi, di essere multati o addirittura finire in prigione.

Con l’arrivo della pandemia di Coronavirus il Libano ha dovuto affrontare anche la più grande crisi economica degli ultimi decenni. Questo ha fatto sì che molti datori cacciassero le lavoratrici domestiche dalle loro case, spesso abbandonandole di fronte ai palazzi delle ambasciate, che però non collaborano e non facilitano i rimpatri. Queste donne si sono quindi ritrovate per strada e senza sufficiente denaro per comprare un biglietto di ritorno nel loro paese di origine. Gli stipendi infatti sono incredibilmente bassi, in media $150 al mese, che spesso le donne spediscono ai loro familiari, e in caso di necessità come questo perdono tutto non riuscendo a recuperarli. I risparmi spesso vengono spesi dalla famiglia, in altri casi queste donne li affidano ad amici di ritorno in patria, che però intascano il denaro invece di consegnarlo ai parenti delle donne.

Le ambasciate poco fanno per queste donne. In particolare il caso dell’Etiopia, in cui non solo le donne abbandonate davanti all’ambasciata non sono state aiutate a tornare a casa, ma il Governo etiope non scoraggia altre donne a partire per il Libano, nonostante la pandemia. Da mesi le donne rimaste per strada si riuniscono davanti alle ambasciate chiedendo di essere aiutate.

A complicare ulteriormente questa delicata situazione è stata l’esplosione del 4 Agosto a Beirut che ha causato centinaia di morti e migliaia di feriti tra cui anche migranti. È tuttavia complesso calcolare i numero di morti e feriti tra i migranti, in quanto all’inizio il conteggio veniva fatto solo tra i cittadini libanesi. Farah Beba del Movimento anti-razzista Libanese (AMR) racconta a France 24 che per ora tra i lavoratori migranti si sono contati 13 morti e 4 dispersi, ma i numeri potrebbero essere ben più alti. Anche nelle cure pare sia stata data priorità ai cittadini libanesi.

L’intero quartiere di Karantina, dove principalmente risiedevano migranti, è stato completamente distrutto dall’esplosione. Qui le persone vivevano già in uno stato di grande povertà e precarietà ed ora hanno perso i loro pochi averi, tra cui i telefoni lasciandoli senza la possibilità di contattare i consolati, le ONG o i media per segnalare la scomparsa dei loro cari come ha spiegato Farah Baba in un recente articolo di France 24.

Fonti: Migration, Return and Remittances of Ethiopian Domestic Workers from Lebanon, Report di Dr Gutema, 10/2019, per CeSPI
Beirut blasts leave migrant workers overlooked in life and death, France24, 26/08/2020