DOPO UN ANNO E MEZZO, SI CONCLUDE UFFICIALMENTE L’EMERGENZA PROFUGHI IN ITALIA
Mercoledì 28 febbraio è terminata ufficialmente l’emergenza profughi provenienti dal Nord Africa iniziata nel 2011 e che si è protratta per quasi due anni. Il bilancio del programma lanciato nel 2011 dal Ministero degli Interni e dalla Protezione civile è però quantomeno discutibile.
A seguito delle cosiddette Primavere Arabe, nel 2011 arrivarono in Italia oltre 60mila persone dai Paesi del Nord Africa. Dalla Tunisia prima e dalla Libia poi, gli arrivi furono talmente massicci da portare il Governo a varare un vero e proprio piano di emergenza per l’accoglienza e l’assistenza a queste migliaia di persone. In questo piano di emergenza, affidato dal Governo alla Protezione civile, solo parzialmente sono state coinvolte le Regioni e i Comuni. Moltissime associazioni di volontariato si misero in prima linea per garantire sostegno a queste migliaia di persone. Secondo alcune stime pubblicate dal quotidiano Avvenire, l’assistenza ad ogni persona è “costata” allo Stato circa 46 € al giorno, in media 25.000 € a persona in due anni, per un totale, calcolato su circa 67.000 persone, di 1 miliardo e 300 milioni di euro.
Ma di fronte a questa spesa enorme, come si può considerare la gestione di questa emergenza? Delle persone arrivate in Italia tra il 2011 e il 2012, al 28 febbraio 2013, data di chiusura ufficiale dell’emergenza Nord Africa, rimanevano circa 13mila persone nelle strutture di accoglienza. In linea teorica, tutte queste persone si sarebbero trovate di punto in bianco, di fatto, per strada. Per tutte queste persone, infatti, è stato previsto un contributo una tantum di 500 € e la concessione di un titolo di soggiorno provvisorio con i quali dovrebbero cercarsi un’altra sistemazione in Italia. Il Ministero degli Interni ha però promulgato una circolare che proroga l’accoglienza per una parte dei 13mila profughi ancora presenti nelle strutture di accoglienza. Si è infatti stabilito che potranno restare nelle strutture di accoglienza le 7400 persone che sono ancora in attesa di essere sentite dalle commissioni per il rilascio dello status di asilo, i minori non accompagnati, i genitori single con prole, le donne in gravidanza, gli anziani, i disabili o le vittime di soprusi e torture. Si è inoltre prevista la possibilità del rimpatrio volontario assistito per coloro che decidessero di tornare nel proprio Paese di origine.
Il punto, però, è che da più parti, soprattutto tra le associazioni di volontariato che si sono impegnate in prima fila per l’assistenza e l’accoglienza, ci sono state critiche sulla gestione dell’emergenza, soprattutto per quanto riguarda le attività in cui sono stati coinvolti gli immigrati nel periodo in cui sono stati ospitati nei centri di accoglienza. Qui spesso, infatti, gli immigrati erano di fatti parcheggiati e a volte dimenticati, senza coinvolgerli in percorsi di integrazione, sia dal punto di vista dell’apprendimento della lingua sia dal punto di vista dell’inclusione di percorsi di formazione lavorativa che sarebbero potuti andare a vantaggio degli immigrati stessi e delle comunità in cui essi si trovavano.
In definitiva, si può dire che si è chiusa ufficialmente un’emergenza durata quasi due anni, ma c’è il rischio che si apra un’altra emergenza sociale per tutti quei profughi che si trovano ora in una situazione di precarietà o addirittura di bisogno trovandosi adesso di fatto in mezzo ad una strada.