Cile. La Costituzione non cambia ma la democrazia non si ferma

Istituto Sindacale per la COoperazione allo Sviluppo

Cile. La Costituzione non cambia ma la democrazia non si ferma

Il 4 settembre 2022 gli elettori cileni hanno bocciato con un referendum la proposta di una nuova Costituzione, definita la più avanzata al mondo. Secondo i dati diffusi dal Servel, il servizio elettorale cileno, il no (rechazo) ha raccolto il 61,9% dei voti, mentre il sì (apruebo) solo il 38,1%. Come possiamo interpretare il risultato di questa votazione quando solo nel 2020, sempre per mezzo di un referendum, il 78% dei votanti si era espresso contro la Costituzione in vigore, adottata durante il regime dittatoriale di Pinochet, manifestando il desiderio di un suo superamento?

Per cercare di dare una risposta quanto più chiara possibile a questa complessa domanda, abbiamo intervistato Giacomina Cassina, già responsabile delle politiche europee nell’ufficio internazionale della Cisl Nazionale, e che attualmente vive in Cile.

Quali sono state le condizioni che in Cile hanno fatto maturare la decisione di cambiare la Costituzione attualmente in vigore?

Quello che ha portato a prendere la decisione di cambiare la Costituzione è stato essenzialmente il venire a galla di uno sviluppo economico che indubbiamente c’è stato, ma che ha prodotto delle diseguaglianze rilevanti. Il Cile è un paese complicato ed è popolato da 19 milioni e 700 mila abitanti, con 7 milioni circa che vivono nella capitale. Questa è la prima macroscopica diseguaglianza. La concentrazione della popolazione intorno a Santiago porta di conseguenza a levare servizi, assistenza e opportunità agli estremi, o meglio a tutto ciò che si trova al di fuori della capitale per portarli al centro dove vive il 10% più ricco del paese. Il periodo della democrazia, che interessa gli ultimi 30 anni della storia cilena, ha portato ad un forte sviluppo economico: infatti il Cile è un paese ricco, nonostante le diseguaglianze; ricco di risorse naturali e ricco di grande energia delle persone intesa come peculiare capacità di darsi da fare per vivere. Possiamo dire che la popolazione locale ha raggiunto un livello di coscienza che qualcosa di profondo non funziona. Credo sia sbagliato dire che si è voluto cambiare la “Costituzione di Pinochet”, in quanto tale carta aveva già subito nel corso degli anni delle modifiche, nel tentativo di renderla più “sociale”, più democratica ed inclusiva, ma ha mantenuto il principio della centralità assoluta e indiscutibile del diritto alla proprietà privata e alla libera iniziativa – formalmente garantito a tutti i cileni.

La nuova Costituzione proposta e bocciata includeva concetti all’avanguardia di promozione della “Res publica”: sanità, acqua, istruzione. Perché il popolo cileno ha votato contro?

Il messaggio fondamentale che non arriva alla gente è che per contribuire alla crescita sociale del paese, bisogna capire l’importanza del contributo fiscale di tutti al bilancio dello stato. In Cile lo stato del prelievo fiscale descrive una situazione incredibile: il 60% dell’introito fiscale deriva dall’iva, dalle tasse sulla proprietà – irrisorie ma che colpiscono tutti indistintamente – e dalla tassazione di altri beni e servizi. Di fatto è come se fosse in vigore una “flat tax” sui redditi per cui tutti pagano poco e ne sono contenti, e di fronte ad un movimento di concetti, obiettivi e strumenti come offriva la nuova Costituzione, la popolazione ha avuto paura. Si è detto: cambiamo la Costituzione per garantire maggiori diritti, ma quali diritti e declinati come? Da notare come, nel testo della nuova Costituzione, fosse assente il principio dei doveri connessi ai diritti, mancava quindi un riferimento al concetto per cui la popolazione ha il dovere di contribuire – attraverso l’attività, le idee e le tasse – allo sviluppo sociale del paese, cioè alla possibilità di avere finalmente delle pensioni decenti, una sanità decente e universale e un’istruzione garantita. Di fronte alla proposta di questi cambiamenti, la maggioranza della popolazione ha preferito mantenere lo status quo, al fine di evitare un aumento della pressione fiscale per finanziare il miglioramento dei servizi statali. E’ inutile aggiungere che i partiti di destra – che rappresentano la parte più ricca della popolazione – hanno fatto del vero terrorismo psicologico fino a paventare che le casette familiari, spesso costruite con le proprie mani o quasi, avrebbero potuto, da un giorno all’altro, essere espropriate.

I giovani tra i 18 e i 30 anni sono tra i più favorevoli alla modifica costituzionale, la fascia d’età 31-40 anni i più contrari: come interpreta questi dati?

Secondo un’indagine condotta prima del voto riguardo ai temi di quella che sarebbe dovuta diventare la nuova Costituzione, sia favorevoli sia contrari lo erano prima di tutto per la riforma del sistema sanitario e poi per le riforme sociali. Per la prima volta dopo la dittatura, il voto era obbligatorio. Tuttavia, questa apertura della politica in termini di partecipazione democratica della popolazione si rivela essere una “conquista apparente”, in un contesto in cui la propaganda politica operata attraverso i mass media si è basata esclusivamente su disinformazione e strumentalizzazione. I dati dell’inchiesta citati si spiegano anche con una classe media – età tra 31 e i 40 – che si è fatta da sola, che non ha vissuto direttamente la dittatura e che teme di perdere non solo quanto ha acquisito, ma anche l’opportunità di crescere ulteriormente in termini economici e nella scala sociale. Inoltre, una rilevante fetta di elettori – circa il 25/30% – erano persone che non avevano mai votato e che non sono state toccate dalla campagna elettorale oppure che hanno potuto cogliere solo le interpretazioni di alcuni articoli della Costituzione, quasi tutte forzate o addirittura falsate, dalla destra. In particolare, la destra ha presentato sia gli articoli che attribuivano ai popoli originari maggiori poteri sia quelli che tutelavano il diritto all’acqua, allo studio e alla salute pubblica come una delegittimazione del settore privato in questi ambiti con possibili ripercussioni sul diritto-dogma della proprietà privata. Va notato, inoltre, che negli ultimi tempi c’è stato un aggravarsi del conflitto nel Sud del paese fomentato da settori organizzati delle popolazioni autoctone, che ha determinato una situazione di instabilità, di violenze ai margini della criminalità organizzata (se non oltre…) che hanno generato paura anche per le persone comuni. Insomma, i diritti dei popoli originari sono stati interpretati come l’avvio verso un paese frantumato, anarchico e pericoloso.

Il 74% degli elettori anche dopo il voto del 4 settembre continua a dire di voler cambiare la Costituzione ma con un’altra Assemblea Costituente: quanto è a rischio il governo di Boric?

Boric era un sostenitore della nuova Costituzione, ma non l’ha scritta, il testo è stato redatto dall’Assemblea Costituente, la quale è stata eletta e poi sciolta e ormai non ha più il mandato del referendum di entrata e porta con sé lo stigma del referendum di uscita. Inoltre, è importante notare come la decisione di formare una Costituente di soli eletti è stata presa senza un vero sostegno da parte dei partiti. Lascia un certo sconforto sapere che l’Assemblea Costituente eletta a suffragio universale non è stata in grado di redigere un documento approvabile dalla maggioranza dei cileni, anzi il suo ruolo è rimasto invischiato per mesi in uno scontro interno ed esterno che si è giocato più su questioni formali che su concetti e obiettivi; questo ha prodotto una discussione rivolta più ad affermare le proprie idee e rivendicazioni di parte che a trovare punti di convergenza o mediazioni. Durante la breve campagna elettorale per il referendum di uscita – di soli 2 mesi -, il servizio di stato che regola le votazioni ha imposto al Presidente Boric (autorità massima in Cile), ai ministri e ai funzionari statali di non esprimersi sul testo della nuova Costituzione; la motivazione presentata è stata che non si devono usare i soldi pubblici per fare campagna elettorale per partiti politici. Anche adesso Boric non sta parlando della Costituzione che comunque dovrà essere ridefinita, non può farlo, ma cerca di lavorare con le forze che ha a disposizione per delineare un nuovo processo ma soprattutto per far avanzare alcune riforme del suo governo come, appunto, quella fiscale; infatti, il Presidente aveva già dichiarato in passato che il suo programma di riforme sociali ed economiche era realizzabile anche con l’attuale Costituzione.