TURCHIA, IRAN, SIRIA. COSA SUCCEDE IN MEDIO-ORIENTE?
Proteste in Turchia, elezioni in Iran, guerra civile e prospettive di dialogo in Siria. In questa settimana si è succeduta una serie di eventi che stanno scuotendo per l’ennesima volta il medio-oriente, coinvolgendo tre stati diversi, ma che in realtà sono molto legati l’uno all’altro.
IRAN
Il 14 giugno in Iran, si sono svolte le elezioni presidenziali per eleggere il successore di Ahmadinejad, che dopo due mandati non si poteva più ripresentare. A sorpresa, a uscire vincitore già al primo turno con il 50,68% dei consensi è stato Hassan Rohani, 65 anni, considerato l’unico candidato moderato-riformista presenta nella competizione elettorale, a cui erano stati ammessi 6 candidati, tra cui il sindaco di Teheran Mohammad Bagher Qalibaf (arrivato secondo con il 16,56% dei voti e Saeed Jalili, capo dei negoziatori per il nucleare e favorito della vigilia, arrivato terzo con il 11,36%, entrambi esponenti del fronte conservatore. Il neo presidente è stato per 16 anni segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale.
Attualmente guida il Centro di ricerca strategica ed è membro del Consiglio del Discernimento e dell’Assemblea degli Esperti. Nel 2003 fu nominato capo negoziatore sul nucleare. Rohani è stato appoggiato da personalità di spicco quali gli ex presidenti Ali Akbar Hashemi Rafsanjani e Seyyed Mohammad Khatami e dall’hojatoleslam Hassan Khomeini, nipote del defunto leader della Rivoluzione Islamica, l’ayatollah Ruhollah Khomeini.
In politica estera, il programma dello schieramento moderato-riformista prevede un’apertura verso l’Occidente, in particolare nei confronti degli Stati Uniti, con l’obiettivo di risolvere la questione nucleare, anche se l’ultima parola rimarrà comunque alla Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei.
I veri motivi della vittoria di Rohani sono però da cercare soprattutto nelle tematiche di politica interna, essendosi Rohani dichiarato contro lo Stato di polizia e a favore dei prigionieri politici, della libertà di espressione, dei diritti sociali delle donne perché l’Islam non può essere pretesto per relegarle in una condizione inferiore.
TURCHIA
Si fa sempre più tesa la situazione in Turchia, dove continuano e anzi tendono anche ad aumentare le proteste contro il governo di Recep Tayyıp Erdoğan, capo del governo filo-islamico AKP. Le proteste che erano partite contro il progetto voluto dal governo di distruggere Gezi Park, parco pubblico di Istanbul, per far nascere nuove costruzioni, si è trasformata in realtà in una protesta che ormai è dilagata in tutto il Paese contro il governo di Erdoğan, accusato di politiche autoritarie e fortemente conservatrici in ambito socio-politico. Ad alimentare le proteste è stata anche la brutale reazione delle forze di polizia, che ha usato cannoni ad acqua, proiettili di gomma e gas lacrimogeni sparati ad altezza uomo, ha arrestato centinaia di persone e molti giornalisti che cercavano di documentare quello che stava succedendo (ieri è stato coinvolto anche un fotografo italiano). La reazione della polizia è stata talmente forte e brutale da portare l’Unione europea e gli Stati Uniti a chiedere il rispetto dei diritti dei manifestanti e ha portato la cancelliera tadesca Angela Merkel a definirsi scioccata per le violenze compiute dalla polizia. Ieri è stato anche proclamato uno sciopero generale promosso dai due grandi sindacati DISK e KESK. Il governo però ha fatto sapere di ritenere illegale lo sciopero, minacciando di usare l’esercito contro le eventuali manifestazioni e impedendo i cortei di protesta. Questo accade nonostante il fatto che sotto il governo di Erdoğan, al potere ormai da 10 anni, la Turchia sia cresciuta molto dal punto di vista economico entrando nel G20 e diventando una potenza regionale importante nell’area.
SIRIA
Gli eventi di questi ultimi giorni in Iran e Siria rischiano di avere conseguenze importanti anche sul comune vicino, la Siria, dove da ormai due anni è in corso una vera e propria guerra civile. L’Iran infatti sostiene e fornisce armi al governo di Assad, insieme ai suoi alleati libanesi di Hezbollah, che ormai sono intervenuti direttamente anche con propri uomini a fianco delle forze governative. La Turchia, invece, insieme ad Arabia Saudita e Qatar, sostiene gli insorti. La situazione sta ancor più complicandosi nelle ultime settimane dopo la decisione dell’Unione europea di sospendere l’embargo di armi verso la Siria, con la conseguenza che Francia e Gran Bretagna si sono già dichiarate disposte a fornire armi ai ribelli. Stessa cosa hanno annunciato anche gli Stati Uniti, dopo aver ufficialmente accusato il governo siriano di aver utilizzato armi chimiche nel conflitto.
L’indebolimento della Turchia e il rafforzamento dell’Iran, però, rischiano di mettere in difficoltà gli Stati Uniti, che già devono vedersela con la Russia di Putin, storicamente alleata di Assad e della Siria. La questione siriana è stata anche al centro dei lavori del G8 che si sta svolgendo proprio in questi giorni, dove Obama e Putin hanno certificato le loro divergenze di opinioni sulla questione siriana. A questo punto la tanto annunciata conferenza di pace Ginevra II, che avrebbe dovuto svolgersi nelle prossime settimane per volontà di Usa e Russia, è fortemente a rischio, anche perché ci si potrebbe arrivare con un governo siriano di Assad molto rafforzato e un fronte dei ribelli quanto mai diviso e indebolito anche da alcune sconfitte subite sul campo.
Per approfondimenti:
http://www.cipmo.org/analisi/2013/turchia-giannotta.html
http://www.ituc-csi.org/turkish-unions-launch-strike-as