RAPPORTO ILO 2013 SUL LAVORO MINORILE

Istituto Sindacale per la COoperazione allo Sviluppo

RAPPORTO ILO 2013 SUL LAVORO MINORILE

È stato pubblicato nei giorni scorsi il nuovo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) sul lavoro minorile. Il dato incoraggiante è dato dalla riduzione di un terzo del numero dei minori lavoratori dal 2000 ad oggi, passando da 246 a 168 milioni, circa il 10% dei bambini tra i 5 e i 17 anni, un dato comunque ancora troppo alto.

Il numero dei bambini-lavoratori in tredici anni è crollato di un terzo. Si è passati da 246 milioni a 168; certo, un passo avanti rispetto all’inizio del millennio, ma non ancora sufficiente, visto che l’obiettivo fissato dalla comunità internazionale di eliminare le peggiori forme di sfruttamento entro il 2016 non sarà raggiunto. Più della metà dei 168 milioni di bambine e bambini lavoratori nel mondo svolge infatti ancora lavori pericolosi che hanno conseguenze dirette sulla loro salute, sicurezza e sviluppo morale. Attualmente, sono 85 milioni i bambini impiegati in lavori pericolosi rispetto ai 171 milioni del 2000. Il lavoro pericoloso è spesso utilizzato come equivalente delle peggiori forme di lavoro minorile, questo perché i minori coinvolti nei lavori pericolosi rappresentano la maggioranza di quelli nelle peggiori forme.

Anche in vista della prossima Conferenza Globale sul lavoro minorile che avrà luogo a Brasilia dall’8 al 10 ottobre, il rapporto individua le azioni che hanno portato a risultati concreti nella lotta al lavoro minorile negli ultimi anni. Investimenti nell’educazione, nelle politiche sociali e di pressione sui governi nazionali per adottare leggi più restrittive in materia e a ratificare le due Convenzioni della ILO.

Venendo all’analisi del rapporto 2013, i progressi più consistenti nel contrasto al lavoro minorile si sono avuti tra il 2008 e il 2012, con il calo da 215 milioni di bambini-lavoratori a 168. La situazione più grave è nell’Africa sub sahariana con il record negativo del 21,4% dei bambini al lavoro (oltre 59 milioni). In Asia il numero assoluto sale a 77 milioni, ma la percentuale sul totale della popolazione è del 9,3%. Seguono l’America Latina e i Caraibi con l’8,8% (12,5 milioni) e il Medio Oriente con l’8,4% dei minori coinvolti (circa 9 milioni). 
Quando si parla di sfruttamento, si annullano persino le differenze di genere: tra i più piccoli, 36,3 milioni sono maschi contro i 36,7 milioni di bambine. Il distacco aumenta gradualmente con l’età dei minori: tra i 15 e i 17 anni solo il 20% dei bambini-lavoratori è femmina. È poi interessante notare che dal 2000 ad oggi il lavoro minorile tra le bambine è diminuito del 40%, mentre quello dei bambini del 25%.
L’agricoltura rimane il settore in cui si trovano più minori lavoratori (98 milioni di bambini o il 59%), ma il fenomeno è ugualmente rilevante nell’industria (12 milioni, il 7,2%), perlopiù nell’economia informale, e nel settore dei servizi (54 milioni, il 32,3% del totale, l’unico valore in aumento rispetto al 25,6% del 2008).
Il fenomeno purtroppo non riguarda solo i Paese poveri, dove effettivamente l’incidenza è più elevata; i paesi a medio reddito hanno infatti il maggior numero di bambini lavoratori in termini assoluti, e il fenomeno è purtroppo presente anche nei Paesi occidentali. Secondo una ricerca di Save the children, in Italia sono ancora 260.000 i pre-adolescenti (circa il 5% del totale nella fascia di età tra i 7 e i 15 anni) costretti a lavorare già giovanissimi.
Il contesto economico globale resta comunque il vero ostacolo. Infatti, nei Paesi più poveri, tre quarti dei bambini non possono essere rilevati dalle inchieste dell’ILO, perché il lavoro è svolto all’interno del nucleo familiare e i genitori si oppongono per non perdere una fonte di guadagno ‘a costo zero’. La lotta al lavoro minorile è ancora lunga, riconosce la stessa agenzia ONU: “La direzione è giusta ma ci stiamo muovendo troppo lentamente. Se vogliamo veramente porre fine a questo flagello nel prossimo futuro, allora dobbiamo raddoppiare gli sforzi a tutti i livelli. Abbiamo 168 milioni di buone ragioni per farlo”, ha dichiarato il Direttore Generale dell’ILO, Guy Ryder.

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