𝕍𝕚𝕒𝕘𝕘𝕚𝕠 𝕕𝕖𝕝𝕝𝕒 𝕞𝕖𝕞𝕠𝕣𝕚𝕒 & 𝕤𝕠𝕝𝕚𝕕𝕒𝕣𝕚𝕖𝕥𝕒 𝟚𝟘𝟚𝟚 – 𝔹𝕠𝕤𝕟𝕚𝕒 𝔼𝕣𝕫𝕖𝕘𝕠𝕧𝕚𝕟𝕒

Istituto Sindacale per la COoperazione allo Sviluppo

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Si è svolto dal 5 all’11 novembre 2022 il viaggio della memoria e della solidarietà in Bosnia Erzegovina promosso da Iscos Cisl e a cui abbiamo aderito anche noi di Iscos Lombardia.

Un’occasione per ripercorrere la storia del Paese e toccare con mano le ripercussioni della guerra sul tessuto sociale e sul contesto geopolitico nonostante siano passati 27 anni.

Un viaggio profondo anche perché accompagnato e narrato da tanti testimoni che hanno condiviso con noi la propria storia di vita fatta di traumi e di cicatrici spesso ancora da sanare, ma anche di grande speranza e di resistenza quotidiana. Per noi questo viaggio è stato anche un’ opportunità per ritrovare le amiche delle associazioni Jadar di Konievic Polije e di Uz Nera di Konjic con cui abbiamo in corso dei progetti di cooperazione internazionale per la promozione di opportunità di formazione e lavoro per le donne.

Diario di bordo

Primo giorno – Arrivo in serata a Banja Luka.

Secondo giorno

Il secondo giorno in Bosnia Erzegovina è stato emotivamente toccante.

Accompagnati da Edin e Nusreta, abbiamo visitato i campi di concentramento di Prijedor, Keraterm e Trnopolje con il racconto straziante delle atrocità a cui hanno assistito, delle ingiustizie subite di come sia stato possibile per loro salvarsi. La difficile ricostruzione della propria vita va di pari passo con la ricostruzione di questo Paese che porta con sé ancora macerie e strascichi di un conflitto malamente sopito. Le parole di Edin e di Nusreta risuoneranno a lungo in questi giorni «I musulmani bosniaci venivano arrestati perché non condividevano la stessa identità, l’identità serba». A pranzo siamo stati alla casa della pace, accolti da un gruppo di donne che qui riuniscono persone di diverse culture e religioni.

È stata una prima giornata difficile, piena di emozioni, che rafforza sempre di più la nostra convinzione dell’importanza di fare memoria, di non dimenticare, di ascoltare e condividere l’esperienza di chi, oggi, continua a lottare per una società migliore, multiculturale e inclusiva.

Terzo giorno

Attraversiamo il Paese con il nostro pullman. Dal finestrino si stagliano boschi e montagne fino all’arrivo a a Sarajevo, racchiusa in una conca, una situazione geografica che ha favorito l’assedio durato ben tre anni durante la guerra. Alloggiamo all’Hotel Grand, con la sua storia di resistenza e di lavoratori che per salvarlo si sono uniti in una cooperativa.

Accompagnati da Kanita Focac visitiamo il Museo dedicato ai bambini dove sono raccolte le testimonianze di coloro che erano bambini negli anni della guerra: i loro scritti insieme a giochi e oggetti quotidiani descrivono bene quante e quali profonde sofferenze le guerre fanno pagare ai più piccoli.

Kanita, la nostra guida per questa giornata, è un’architetta di Sarajevo rimasta vedova durante la guerra a causa di un proiettile di un aereo serbo, che penetrato in casa ha colpito il marito trapassandolo.

Kanita è stata interprete del contingente italiano durante la guerra, salvando tra l’altro molti bambini bisognosi di cure.

Insieme a lei visitiamo la storica sede della biblioteca nazionale, la Viecnica di architettura moresca, restaurata dopo l’incendio appiccato dai serbi durante l’assedio nel quale migliaia di preziosi volumi, testimonianza della cultura della città, sono andati in fumo. Ci rimettiamo in strada e passiamo davanti a Markale, lo storico mercato all’aperto, luogo che fu drammatico palcoscenico  a due degli attentati più gravi dell’intero conflitto bosniaco. All’epoca Markale era qualcosa di più di un semplice mercato dove trovare il poco disponibile alla sopravvivenza, era un punto di ritrovo, un luogo dove condividere la propria disperazione, la propria sofferenza. E non è quindi un caso che nel febbraio del 1994, prima, e nell’agosto del 1995, dopo, le forze serbo-bosniache assedianti fecero piovere proprio qui le loro granate. Furono complessivamente centoundici i morti – tantissime donne, bambini, anziani – centinaia i feriti.

Quarto giorno

Oggi siamo stati al memoriale di Srebrenica e a quello di Bratunac dedicati alle vittime del genocidio del 1995 accompagnati dalla toccante testimonianza di Sakib. Il massacro di Srebrenica è stato un genocidio di oltre 8000 ragazzi e uomini musulmani bosniaci avvenuto nel 1995 nella città di Srebrenica e nei suoi dintorni durante la guerra in Bosnia Erzegovina. Ogni 11 luglio a Srebrenica si celebra il funerale collettivo con la sepoltura di quei corpi che vengono ritrovati durante l’anno.

Abbiamo poi proseguito nella zona rurale di konjevic Polje per raggiungere e riabbracciare le amiche di Jadar, Ifeta e Safeta con le quali abbiamo un progetto in corso sull’empowerment femminile e intendiamo farne molti altri insieme. Loro sono il perfetto esempio della potenza della speranza, della solidarietà e dell’amicizia transnazionale. Benvenuti in Bosnia ed Erzegovina Est!

Quinto giorno

Siamo a Sarajevo all’Hotel Grand quando ci raggiunge Aida Feraget, ricercatrice e storica che con i suoi studi cerca di tenere viva la memoria e il ricordo di quanto è successo su questa terra.

Aida nel suo racconto è molto puntuale e precisa nel farci capire che cosa è andato storto e perché la situazione della Bosnia Erzegovina risulta ancora calda e bruciante.

Secondo lei, subito dopo la guerra, sarebbe stato opportuno far insediare un governo di esperti con il compito di ricostruire le basi di un sistema frantumato e diviso. Il non aver fatto questa scelta allora, ha determinato la precarietà odierna: tutt’oggi il Paese è fragilissimo e fortemente instabile.

A questo si aggiunge il fatto che per dare rappresentanza ai tre gruppi etnici presenti in Bosnia Erzegovina, ci sono al governo ben 178 ministri che rendono il sistema politico appesantito e costoso.

Nel pomeriggio di questo quinto giorno, abbiamo incontrato l’ambasciatore italiano in Bosnia Erzegovina Marco Di Ruzza per un dialogo sulle impressioni percepite durante il nostro viaggio e le iniziative del governo italiano in Bosnia.

Sesto giorno

Il sesto giorno si apre con l’incontro delle istituzioni di Konjic e la visita al bunker di Tito.

Nascosto tra le montagne dell’Erzegovina giace infatti il più profondo dei segreti della Jugoslavia: un enorme bunker antiatomico pensato per la sopravvivenza di Tito e dell’élite del Paese. L’accesso al Bunker dovrebbe trovarsi sulle montagne, nascosto nel perimetro di una vecchia fabbrica. Una immensa base di oltre 6000 metri quadrati nascosta nel cuore di una montagna ad oltre 300 metri di profondità.

La struttura del Bunker di Tito, nome in codice ARK D-0 (Atomska Ratna Komanda) è stata costruita tra il 1953 e il 1979 per volere di Tito stesso. Si viveva negli anni in cui il pericolo di una guerra atomica era dietro l’angolo, la Guerra Fredda incalzava di giorno in giorno e la stessa sopravvivenza della Jugoslavia poteva essere in pericolo. Tito diede quindi ordine di costruire un bunker segretissimo in grado di ospitare lui, la sua famiglia e le persone ritenute strategiche per la sicurezza nazionale. L’obiettivo era quello di avere un quartier generale a prova di attacco atomico dove potersi rifugiare e dal quale poter continuare ad esercitare il comando.

Dopo la visita al bunker raggiungiamo per pranzo le amiche di UŽ “NERA” che sosteniamo nelle attività che svolgono sul territorio come il bellissimo Festival della creatività femminile che si è tenuto nei giorni scorsi. È stato emozionante riabbracciare e ritrovare Dina Alić, Presidente dell’associazione.

Dopo la visita a Nera ci siamo rimessi in viaggio per la tappa finale: Mostar!

Settimo giorno

Tra il 1992 e 1993, dopo che la  Bosnia Erzegovina in seguito ad un referendum popolare in base all’allora vigente Costituzione della Jugoslavia di Tito aveva dichiarato l’indipendenza, la città fu soggetta ai bombardamenti e ad un assedio lungo nove mesi da parte delle truppe federali jugoslave supportate dall’esercito serbo-bosniaco. L’esercito jugoslavo bombardò Mostar per la prima volta il 3 aprile 1992 e nelle settimane successive prese il controllo di gran parte della città. Oltre a causare immense sofferenze alle popolazioni locali, i tiri d’artiglieria danneggiarono o distrussero diversi bersagli civili. Tra questi ci furono un convento cattolico, quello dei francescani OFM, la Cattedrale di Santa Maria Madre di Dio, il palazzo vescovile e una dozzina di moschee. Il ponte, simbolo della città, costruito nel 1557, era il simbolo della convivenza interetnica e fu bombardato per la prima volta dai serbi nel 1992. Un anno dopo, esattamente il 9 novembre 1993, sei croato bosniaci della Comunità di Herceg Bosna diedero l’ordine di abbatterlo, dichiarando che “quelle pietre” non avevano nessun valore.

Ritorniamo a casa, arricchiti e fortemente coinvolti dalle voci, dai volti, dalle testimonianze che abbiamo ascoltato e visto in questo viaggio della memoria che ha scalfito in modo indelebile la percezione dei danni che provoca la guerra, prima di tutto sulla popolazione civile. Essere stati accompagnati da persone come Tamara Cetckovic, costruttrice di pace e Luca leone, autore esperto di Balcani, è stato un vero privilegio.

Consigli di lettura:

https://www.infinitoedizioni.it/prodotto/dayton-1995la-fine-della-guerra-in-bosnia-erzegovina-linizio-del-nuovo-caos/